set32021
Medici italiani tornano a emigrare. Ecco le mete più richieste e le ragioni della fuga
Dopo l'arresto nei mesi di lotta al Covid-19, torna forte l'emorragia di medici dall'Italia verso gli stati esteri. In media un medico ogni 40 emigra verso Emirati, Qatar o Nordamerica. L'allarme lo lancia il presidente Omceo Mi
Roberto Carlo Rossi segnalando che ogni anno firma oltre 500 certificati "good standing" per consentire l'espatrio a medici italiani (su 27 mila iscritti, a Roma
Antonio Magi ne firma 1000 su 42 mila iscritti). Per una proporzione corretta bisogna aggiungere gli espatri di medici italiani verso paesi dell'Unione europea, gestiti con una procedura di attestazione della "buona condotta" che coinvolge ministero della Salute e Fnomceo.
Rossi aggiunge che non vanno via solo giovani camici ma anche medici 45-50enni, specialisti della dirigenza pubblica, dipendenti del privato. Tra convenzione e dipendenza, un distinguo: «In convenzione la maggior parte dei medici è a 10-15 anni alla pensione, c'è poi uno zoccolo non nutritissimo di quarantenni, infine ci sono i giovani, e in quella fascia la tendenza alla mobilità, anche verso l'estero, è più elevata che in passato. Nella dipendenza invece tendono ad andare via anche i quarantenni, molti in piena carriera», dice Rossi. «Cardiochirurghi da un giorno all'altro si stabiliscono negli Emirati, e li capisco; un direttore di dipartimento responsabile di più unità dove si effettuano migliaia di prestazioni delicate, con annessi rischi legali, incassa 4500 euro mensili, meno che nel resto dei paesi industrializzati. Gli stipendi dei medici italiani a tutto il 2019 erano i peggiori in Europa occidentale eccezion fatta per la Spagna (di cui non conosco i limiti posti dalle incompatibilità); oggi forse siamo all'ultimo posto».
Tra i medici di famiglia è prevedibile che a breve qualcuno, più giovane o avvezzo alle lingue straniere, chiuda la convenzione ed emigri? «Anche la nostra categoria è meno remunerata rispetto alle omologhe nel resto d'Europa, con buona pace dei Beppe Grillo secondo cui guadagneremmo come i cardiochirurghi, del ministro
Giancarlo Giorgetti per il quale non serviamo più e della giornalista
Milena Gabanelli nei cui pezzi leggiamo di entrate per noi cospicue (a fronte di un lavoro minimo) ma non dei costi dello studio e del personale. La realtà è diversa - dice Rossi - in una grande città le entrate non coprono le uscite, mentre in montagna il carico di lavoro e di chilometri è spesso superiore alle possibilità umane. Il turnover sarà sempre più precario e in certi casi potrà fallire, a meno di affrontarlo con due soluzioni alternative. Una è far entrare il privato nella medicina territoriale, aprendo una competizione che vedrà arretrare il servizio sanitario pubblico e i livelli di assistenza rispetto a quanto oggi erogato. L'altra è aumentare gli stipendi ai medici; osservo una certa timidezza dei sindacati nel parlare di aumenti ma per consentire al medico di respirare si potrebbe puntare alla rimozione di alcune incompatibilità».
In effetti proprio lo Snami in questi mesi con il presidente Angelo Testa chiede l'abolizione di molte incompatibilità sia dei medici che già esercitano sia dei corsisti di medicina generale «per non lasciar scoperte cliniche private, guardie mediche, Rsa e 118». «La strada è quella - dice Rossi - già nel 2005 mi chiedevo come si sarebbe potuti andare avanti con un medico di famiglia garante dei Lea senza offrire a questa professione motivazioni per crescere. Oggi, peraltro i margini di libera professione rimasti sono residuali. Il lavoro prende gran parte delle nostre energie; non c'è più il rischio di un medico con più lavori, alcuni dei quali in contrasto, quel "mito" che diede il destro alla riforma bindiana e all'introduzione dell'indennità di esclusività in ospedale (pochi soldi in confronto a quanto danno all'estero, si veda Israele). Bene sarebbe concedere a chi ha residue energie e ha bisogno di soldi di poter effettuare altre attività, anche complementari a quelle rientranti nei livelli essenziali di assistenza. Anziché far entrare il privato nei Lea, daremmo al medico di fiducia la possibilità di fare qualcosa di più, di andare oltre, a fronte di prospettive economiche. Del resto, un nodo certo sta per venire al pettine: televisite e teleconsulti sono all'ordine del giorno nella medicina generale, i pazienti ce li chiedono, spesso noi riusciamo a offrirli senza problemi. Ma è lavoro supplementare e va pagato a parte».
Mauro Miserendino